Il riassetto del gioco a distanza, posto in essere dall’attuale Governo Meloni, ha innescato una lunga serie di dibattiti tra gli operatori legali del settore d’azzardo e gli addetti ai lavori.
Le questioni sollevate vertono su evidenti complessità rilevate nelle nuove normative, riguardanti soprattutto i criteri di assegnazione delle licenze, le corrisposte da versare per ottenere le autorizzazioni, i titoli patrimoniali e i requisiti richiesti ai concessionari che vogliono esercitare l’attività nello spazio web italiano.
Sulla carta, il riordino del settore ha rappresentato un significativo passo avanti in ambito legislativo in quanto mirante a garantire un ecosistema ludico trasparente, sicuro e responsabile, in linea con i principi cardine dell’ordinamento europeo in materia.
Le novità recentemente introdotte agiscono effettivamente in questa direzione, ma alcune linee guida inserite nel decreto hanno riscosso non poche perplessità, portando gli esperti a rivalutare alcuni punti normativi particolarmente problematici.
Le criticità relative al bando per le nuove concessioni Le perplessità degli operatori più piccoli
L’attuale bando relativo alle autorizzazioni è stato pubblicato lo scorso 17 dicembre nella Gazzetta Europea, al termine di un iter legislativo iniziato a marzo del 2024 con il decreto delegato.
Il documento ha decretato un aumento considerevole della corrisposta per l’ottenimento della concessione, passando da un precedente importo di 250 mila euro a una somma di ben 7 milioni di euro da versare su ogni singola autorizzazione (per una durata complessiva di 9 anni).
La normativa ha portato i rappresentanti legali degli operatori minori e gli esperti in materia di gioco a rilevare alcune evidenti problematicità che deriverebbero proprio dall’innalzamento della quota da pagare per ottenere le licenze.
Secondo molti, le somme richieste alle aziende che operano nel settore del gambling e del betting online sarebbero spropositate e favorirebbero la concentrazione del business nelle mani dei gruppi più facoltosi.
Il riordino, così com’è attualmente, porterebbe dunque alla ribalta commerciale un oligopolio di grosse holding legate al gioco d’azzardo, anche in virtù del fatto che ciascuna di esse può richiedere, sempre secondo il nuovo decreto, fino a un massimo di 5 concessioni.
Una configurazione in effetti rischiosa sotto diversi punti di vista che di fatto ostacolerebbe l’attuazione dei principi di libera concorrenza tra aziende, così come stabilito dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Un rischio per la libera concorrenza
La competizione di carattere commerciale rappresenta infatti da sempre un volano per il benessere economico di tutti gli Stati membri, nonché uno strumento privilegiato per il mantenimento di mercati nazionali dinamici, funzionali e liberi.
La possibilità offerta alle imprese di operare in regime di competitività con condizioni di uguaglianza normativa porta fisiologicamente le aziende a proporre prodotti e servizi sempre migliori, stimolando l’innovazione e incentivando una crescita economica a lunga gittata.
Fattori che verrebbero effettivamente messi a repentaglio dall’attuale riassetto imposto al settore del gioco a distanza.
Contravvenendo alle norme europee relative agli accordi anticoncorrenziali, il decreto concessioni limiterebbe la competizione e non sarebbe in grado di garantire condizioni eque per tutti gli attori di gambling e betting online.
Stabilendo un compenso così alto per l’ottenimento delle autorizzazioni, il Governo Meloni di fatto pare aver innalzato un muro di separazione tra grossi gruppi imprenditoriali e aziende minori, comportando un conseguente impoverimento complessivo del mercato.
Schema di convenzione: ulteriori anomalie normative Spese troppo ingenti per gli operatori indipendenti
Ai dubbi sollevati dagli addetti ai lavori che riguardano il bando per l’erogazione delle licenze si sommano le anomalie relative allo schema di convenzione, con particolare riferimento ad alcuni articoli.
Il numero 7, titolato “Requisiti, Obblighi e Responsabilità” presenta diversi indici di affidabilità patrimoniale che i vari operatori sono tenuti a mostrare, in quanto catalogati come requisiti primari per la continuità stessa della licenza.
In primis, il possesso congiunto di tutti i parametri di solidità indicati sembra rivelarsi in molti casi piuttosto problematico.
Inoltre, nel testo dell’articolo, non è presente alcun riferimento a eventuali penali che potrebbero essere applicate alle aziende che non riescono a rispettare quanto previsto dalla legge di convenzione.
Un buco legislativo che di certo non fa chiarezza sui criteri da ottemperare per risultare a norma, complicando così ulteriormente la situazione.
La questione dei piani di investimento
Ancor più spinosa la questione relativa all’articolo 8, che impone ai concessionari dei piani di investimento in vari ambiti tra cui sicurezza, contrasto alla ludopatia e ammodernamento digitale.
A lasciare perplessi non sono tanto gli obblighi di spesa in sé, quanto gli importi predefiniti degli stessi.
Secondo lo schema, a distanza di 3 anni dall’ottenimento della licenza e per tutta la successiva durata della stessa, ogni operatore è infatti tenuto a spendere in adeguamento tecnologico e gioco responsabile lo 0,03% della media raccolta da tutti gli attori del mercato nell’anno precedente.
Questo parametro risulta fortemente discriminatorio, in quanto porta le aziende più piccole a obblighi di spesa maggiori rispetto ai colossi del settore.
La percentuale non viene infatti calcolata sul fatturato annuale del singolo concessionario, tasso che avrebbe garantito una certa proporzione tra introiti e investimenti, ma si relaziona con il gettito medio del settore generando non poche incongruità.
Nella fattispecie, secondo l’attuale indice, i gruppi minori del settore si troverebbero nella paradossale condizione di dover spendere obbligatoriamente in ricerca e innovazione gli stessi importi delle holding leader del settore, cifre che spesso risulterebbero di gran lunga più alte delle revenue realizzate in uno specifico anno di attività.
Ad aggravare la situazione degli operatori di piccola caratura, ulteriori obblighi di investimento da destinare a campagne informative sul gioco responsabile, sebbene in questo caso siano decretati in rapporto agli introiti annuali del singolo concessionario e non calcolati in base a una media complessiva di tutte le aziende attive nel settore.
Il grido d’allarme dei pesci piccoli Una questione di mancanza di equità
Alla luce di quanto descritto emerge un’evidente assenza di equità riguardante i vincoli di spesa imposti dall’attuale schema di convenzione, squilibrio che potrebbe portare ancor più i piccoli attori dello scenario a uscire dal mercato.
La corrisposta per l’ottenimento della concessione indicata nel bando licenze e gli investimenti obbligatori di cui sopra lavorerebbero dunque nella stessa direzione, consolidando così ulteriormente i timori degli esperti.
I prossimi mesi si riveleranno dunque fondamentali e permetteranno di capire se, alla luce di tutte le complicanze messe in luce dagli specialisti, verranno ricalibrati certi criteri contenuti nelle normative, al fine di evitare la creazione di un oligopolio non concorrenziale che possa compromettere la vivacità del mercato gambling nazionale.