In un mondo in cui anche l’Uomo Ragno ha dimostrato alla grande di avere un lato cattivo, potevano non avere un versante cattivo anche degli ambiti in cui girano milioni di interessi?
Del resto, diciamolo pure: in un mondo in cui anche tutti i cattivi più famosi ci hanno spiegato che sono così cattivi per validissime ragioni, togliendoci tutto il gusto dell’odio nei loro confronti, non stupisce che anche in un ambito come quello dello sport ci siano magagne e “usanze” a dir poco discutibili.
Ciò che forse un po’ sorprende di più è che tali magagne siano presenti anche nel più “giovane” e, sulla carta, innocuo, dei nuovi sport, ovvero i tornei di videogiochi noti come eSports.
Proprio di recente, nel nostro articolo relativo al report annuale sul match fixing, abbiamo visto come siano effettivamente i tornei di videogame, a essere soggetti a pratiche come le combine.
Nessuno sport del resto può sentirsi al sicuro da episodi spiacevoli o meste combine, non importa quanto di nicchia esso sia.
Figuriamoci poi se parliamo degli eSports, che muovono un giro di appassionati impressionante in tutto il mondo, con il pubblico che arriva a riempire delle arene da decine di migliaia di posti e con attorno interessi esagerati.
E infatti.
Continuate a leggere queste righe se volete saperne di più degli episodi loschi celati dietro a (all’apparenza) innocue partite tra videogamer professionisti.
Contro la concezione stessa di “sport”
Partiamo da qua, da cosa si intende comunemente con la parola “sport”: parliamo di due o più persone che, condividendo lo stesso apparato di regole, si sfidano in una data disciplina generando poi un risultato che all’inizio era incerto.
Questa l’essenza: del resto, quando diciamo che qualcuno è “sportivo”, stiamo dicendo esattamente questo, parlando probabilmente di una persona che accetta il risultato anche quando è a suo sfavore con un grande aplomb.
Bene, data questa definizione, ora ve la potete praticamente dimenticare, dato che qui parliamo del comportamento opposto: uno o più giocatori che, per lucrare su un certo risultato, fanno il possibile per determinarlo, senza badare alle regole sportive.
Se questo accade assai di frequente per quegli sport che possiamo definire “fisici” (facciamo l’esempio dell’ahinoi celebre Totonero), dobbiamo sapere che ciò purtroppo si verifica anche negli sport cosiddetti “virtuali”, ovvero negli eSports.
Certo, magari non si bruceranno lo stesso numero di calorie che correndo su e giù per un qualsiasi campo, ma queste discipline condividono la stessa identica definizione che abbiamo indicato prima: sono decisamente sportive, quindi. E possono essere decisamente antisportive, di conseguenza.
Del resto, se pensate che attorno al fenomeno degli eSports girano già due miliardi di dollari di scommesse clandestine all’anno, vi fate un’idea un po’ più precisa di quello che parliamo.
Dalle scommesse alle combine
Purtroppo, va un po’ da sé: quando uno sport inizia a suscitare molto interesse, ecco che arrivano le scommesse; ma quando arrivano le scommesse, e tante, arrivano anche le combine, i giochi sporchi, le scommesse illegali e chi più ne ha più ne metta. Soprattutto quando non ci sono organismi di controllo.
Vediamo insieme entrambi i fenomeni, sia quello delle scommesse che quello del “marcio”.
Abbiamo detto che, ormai anche in Italia, il mondo delle scommesse online si è accorto del massiccio fenomeno degli eSports.
Alcuni tra i più celebri operatori quotano regolarmente questi incontri, e parliamo di nomi di punta come SNAI, William Hill ed Eurobet; molti mercati, molta adrenalina, interesse ai massimi livelli per le competizioni video ludiche.
Non solo eSports, però: pensate al fenomeno delle virtual bet, vere e proprie scommesse virtuali in cui si può puntare su incontri in tutto e per tutto inesistenti, ma generati di sana pianta dagli algoritmi.
In tempo di pandemia questo era uno dei pochi mercati aperti per gli appassionati, dato che non si tenevano incontri sportivi di alcun tipo.
Ovviamente gli algoritmi sono approvati e controllati da AAMS/ADM (l’Agenzia Dogane e Monopoli) e si può scommettere su un ventaglio di possibilità davvero notevole, come calcio, tennis, basket, corse di cavalli, cricket e altri ancora.
Queste sono scommesse velocissime, dato che gli incontri sono decisamente della tipologia “mordi e fuggi”, con durata che oscilla dai 90 ai 120 secondi in base allo sport scelto.
Dopo aver dato questa veloce occhiata alle virtual bet, torniamo ai gamers: ADM ha facoltà di provvedere alla sospensione delle scommesse su questi incontri.
Qui volevamo arrivare: dato che spesso e volentieri gli eSports sono appannaggio dei minori, non le scommesse, ovviamente, bensì proprio il gioco, per la tutela dei minori che potevano cascare nella trappola del match fixing, nel 2019 ADM ha sospeso le scommesse sulle competizioni riservate ai minori, inclusi gli eSports.
E non solo l’Italia: certo, a dare il buon esempio siamo stati noi, ma a ruota ci hanno seguito Svezia e Spagna, vietando scommesse su competizioni in cui chi partecipa sono in larga maggioranza i minori.
I rischi connessi alle scommesse sugli eSports
Non solo giocatori: anche i fan e i tifosi dei vari team sono minorenni: uno studio dell’Università di Bristol ha infatti rilevato che il 28% delle persone che, sui social, hanno postato contenuti inerenti a scommesse su questi eventi eSportivi sono proprio minori di 16 anni.
Numeri notevoli, anche se, dobbiamo ricordarlo, nel Regno Unito il flusso relativo alle scommesse in generale è altissimo.
Quindi, Houston, qui abbiamo un potenziale grosso problema: quello delle vincite esagerate derivanti dal betting in questo alveo di competizioni.
Per i minori di oggi non è certo cosa impossibile eludere controlli e divieti e riuscire a scommettere ugualmente, e non solo sui canali ufficiali, ma anche sul mercato illegale, lasciando completamente inconsapevoli di questo i loro genitori.
Le scommesse, soprattutto se illegali, nel campo degli eSports sono spesso messe in atto attraverso delle cosiddette “skin”, non in vil denaro: si tratta di quegli oggetti (armature, armi, divise, etc.) che i personaggi utilizzano all’interno del videogioco.
Se state facendo un mezzo sorriso, forse sarebbe il caso di cambiare espressione, dato che talvolta questi oggetti arrivano a essere quotati anche migliaia di euro, ovviamente a seconda del loro valore all’interno del gioco stesso.
Non sorridete più, vero?
Ma non parliamo solo di ragazzini: la Gambling Commission britannica ha condotto un’indagine secondo la quale l’8.5% degli adulti dichiara di aver scommesso almeno una volta su un evento eSportivo.
Se, alla luce del nostro precedente articolo sulle donne e il gambling, vi steste chiedendo in che percentuale queste persone fossero donne, ebbene, il 42% appartiene al genere femminile.
In ogni caso, la fascia meglio disposta verso le scommesse sugli eSports, è quella che va dai 18 ai 35 anni.
E per quanto concerne il match fixing? Le paure per gli eventi di eSports potrebbero essere ancora più giustificate rispetto agli sport normali: i ragazzi che giocano ai videogame, quando bravi, diventano delle vere e proprie star.
Parliamo però di minorenni, ovvero persone che ancora non godono di una retribuzione stabile dal mondo del lavoro (non che spesso gli adulti se la cavino meglio, ma questo è un altro discorso); capite bene come possa essere normale, per un ragazzino, farsi ingolosire da cifre stratosferiche messe a sua disposizione a patto che trucchi un gioco.
Non da ultimo: iscriversi a questo genere di tornei è piuttosto costoso, quindi le cifre potrebbero servire anche a rinnovare la propria iscrizione per lo stesso torneo, o ad accedere a tornei di livello più alto.
I sistemi di alert per il contrasto al match fixing negli eSports (e non solo)
Similmente a quanto accade nelle scommesse sugli sport più comuni, le quote, anche per le scommesse sugli eSports, sono rilevate in tempo reale e ci sono meccanismi di alert che permettono agli enti, e poi alle forze dell’ordine, di controllare i flussi di giocate e di risalire a chi ha piazzato le puntate.
Come sempre accade, più ci si allontana da circuiti ufficiali e ben moderati, più si può incappare nel mercato nero e nella possibilità di combine: ideare un sistema di early warning come quello ideato e utilizzato dalla FIFA è precisamente il focus di organismi di controllo e gestione dei metadati sportivi come EISC e Sportradar, così da avere un sistema antifrode utilizzabile su più fronti.
Certo, dobbiamo tenere in considerazione il fatto che i gamers sono dei nativi digitali, con tutto ciò che, in fatto di arte della navigazione e di sgami ne consegue: anche i gamers corrotti, quindi, hanno certo più strumenti rispetto a zio Reginaldo per aggirare i controlli e i sistemi di allerta frode, anche solo per riuscire a celare la propria identità.
Oltre a questo, vi abbiamo già parlato delle skin: spesso e volentieri la corruzione avviene proprio attraverso questi oggetti virtuali, quindi non attraverso il passaggio di denaro reale; dato che si tratta di oggetti dal valore anche di qualche migliaio di dollari, capite che il problema è molto concreto.
Un vizioso circuito criminale sulla base di armature inesistenti, parrebbe. E spesso è precisamente così, dato che una data armatura basterà poi rivenderla ad altri interessati et voilà, il gioco sarà fatto.
Uno sguardo oltre la frode: il sessismo negli eSports
Ve lo abbiamo accennato, ma ora è il caso di fare un focus sul tema del sessismo negli eSports, dato che, come potete immaginare, non trattandosi di sport che richiedano l’utilizzo della forza o di speciali doti fisiche, sarebbe un ambito in cui uomini e donne si scontrano ad armi pari.
O almeno, così potrebbe esserci dato da pensare. E invece no.
Pur essendo, sulla carta, questi tornei aperti a tutti (sui regolamenti non vi è, infatti, alcuna indicazione circa al genere dei partecipanti), dobbiamo essere consapevoli che, per dirne una, nei tornei di Dota2 sono stati vinti circa 235 milioni di dollari.
Quanti di questi sono andati in tasca a delle giocatrici? 6.300 dollari, pari allo 0.002%. E non parliamo del titolo di videogioco peggiore, da questo punto di vista: alcuni non hanno mai visto sul podio una donna, in qualsiasi momento della loro storia (invero recente, ma tant’è).
Se proviamo ad accedere ai server di gioco, del resto, ci rendiamo subito conto di quanto sessismo pervada quelle piattaforme.
Gli episodi spiacevoli sono all’ordine del giorno, tanto è vero che moltissime ragazze decidono di celare il loro genere dietro a nickname maschili, onde evitare di essere ostracizzate, insultate o prese poco sul serio dai “colleghi”.
Basti in tal senso pensare alla espressione volgare russa “Cyka blyat”. Essa viene frequentemente utilizzata nell’online gaming, specialmente nel gioco Counter-Strike: Global Offensive, noto anche come CS:GO. Cyka si traduce in “puttana” e blyat in “donna che fa sesso con chiunque”.
Negli ultimi tempi è montata una polemica attorno a dei tornei chiusi, ovvero all’interno dei quali potessero competere sole donne: spesso e volentieri le voci contro questo genere di tornei sono state di eminenze maschili del gaming. Un caso?
Del resto, difficilmente si potrà mai trovare uno studio che metta in risalto differenti abilità mentali in tema di gaming tra ragazze e ragazzi, esattamente come avviene per un altro sport, addirittura ex disciplina olimpica come gli scacchi.
Eppure, anche lì, non dovevamo certo aspettare che uscisse la fortunata miniserie Netflix “La regina degli scacchi”, per renderci conto che i maggiori campioni a livello mondiale sono spesso e volentieri appartenenti al genere maschile.
Questo, soprattutto nel ‘900, accadeva perché difficilmente le donne avevano tempo e mezzi a sufficienza per dedicarsi alla disciplina: non è un caso, infatti, che la prima donna a diventare campionessa mondiale di scacchi fu Lyudimla Rudenko.
Rudenko, come si potrebbe evincere dal nome, visse e praticò gli scacchi nell’allora Unione Sovietica, un luogo in cui non ci si curava del genere per garantire l’accesso paritario alle varie discipline.
Tornando però al gaming: più iniziative volte all’inclusione stanno per essere messe in campo per incentivare l’eliminazione di questo gap. Non ci resta che vedere se, almeno in questo ambito, esse siano destinate ad andare in porto.
Perché, ahinoi, per quanto riguarda il mondo al di fuori dei videogiochi ancora non si può vedere la fine del tunnel sessista.
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La risposta in breve alla domanda posta nel nostro titolo è: "Sì".
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